C’è qualcosa di profondamente rituale nel varcare la soglia di una cantina: un’apertura che è il
germe di un patto tacito.
“Prometto di raccontarti chi sono e chi voglio essere, ma tu prometti che ascolterai e
comprenderai il mio messaggio, senza fermarti in superficie”.
Ed è proprio domenica scorsa, in occasione della manifestazione del Movimento del Turismo del
Vino, che ho avuto il piacere di essere accolta all’interno delle Cantine Assuli. Ho firmato quel
patto, con voglia e dedizione.
Siamo nel cuore della Sicilia occidentale, tra Mazzara del Vallo e Trapani, ad un’altitudine fra i
100 e i 250 metri sopra il livello del mare, con ben 130 ettari di proprietà. Una volta arrivata, mi
accorgo della maestosità del Baglio: frutto di un lavoro ristrutturazione, con l’obiettivo di riportarlo
alle stesse funzionalità del passato. Il fulcro della vita rurale, un ritrovo per la comunità ma anche
una struttura difensiva. Molto più di una semplice fattoria: era ed è nucleo di vita che dà vita. Un
vero e proprio modello di organizzazione rurale tipica siciliana.
Il Baglio sembra accumulare tutto il sole necessario e farsi di conseguenza sempre più potente,
pieno di sé. E’ chiaramente questa l’origine del suo nome: Baglio Assuli, “al Sole” nel dialetto
siciliano. Proprio perché il sole è dal 1700 un amico fidato di questo luogo. Ed è proprio dal sole
che mi piacerebbe iniziare, perché la sua luce rende quasi totalmente autonoma la produzione di
questa cantina. Con fierezza mi spiegano che, grazie all’installazione dei pannelli solari, riescono
ad essere quasi totalmente indipendenti a livello energetico.
Il sole è dunque il motore di questo baglio. Infatti, raccontano mentre poggio il mio sguardo sui
pannelli solari, che la cantina Assuli ha aderito al programma di sostenibilità per la viticoltura
siciliana: SOStain. La loro risposta al cambiamento climatico prevede degli standard produttivi
specifici, che mirano a una produzione biologica.
E’ proprio sulla sostenibilità e il rispetto della natura che chi ci accompagna si sofferma, facendoci
attenzionare quelli che la mia immaginazione ha incasellato come dei “pois” vivaci e disordinati
che colorano i passamano del baglio. Sembrano quasi il frutto della creatività di Gaudì, invece è
solo la bellezza imprevista della natura. Non sono altro che licheni: bioindicatori naturali della
qualità dell’aria. Vivono solo dove l’aria è molto pulita. Un simbolo di non contaminazione.



Nonostante il sole fosse alto e cocente, il vento rubava le frasi di chi ci ha accolto ancora prima
che arrivassero a destinazione.
“Forse per voi questo vento è fastidioso, ma per noi è vitale affinché la vite possa crescere
rigogliosa”.
In principio quel vento sembrava quasi volerci respingere, scompigliando i capelli e
l’ascolto. Ma dopo quella frase sono riuscita a riconoscerlo come presenza viva e necessaria, in
grado di scolpire il profilo di quei vini.
Il vento mi ha allora accompagnato all’interno del Baglio – costruito in marmo Perlato di Siciliasimbolo della filiera Assuli. Lì tutto accade, inizia e finisce. Dal conferimento dell’uva fino
all’imbottigliamento.
Abbiamo attraversato la Via del Passito che, da settembre fino a metà ottobre, ospita i graticci
destinati all’appassimento dei grappoli di Grillo.
Un passito atipico, perché da uve grillo al 100%. Un giallo oro che definerei “assolato” con una
bella spalla agrumata che vira verso delle note mielate. Rimane comunque un sorso fresco e
coinvolgente.
Siamo poi arrivati all’interno della cantina e attraversato la barriccaia: il vino qui si modula e
trasforma.
Nella filosofia Assuli, l’obiettivo è quello di puntare su varietà autoctone: Grillo, Catarratto, Inzolia
e Zibibbo per le uve a bacca bianca; Nero D’Avola e Perricone per quelle a bacca nera. C’è anche
una percentuale di Syrah, ormai quasi autoctono per quanto espressivo in questo territorio.
Ho trovato, però, ammirevole l’impegno verso un vitigno definito rustico e controverso: il
Perricone. Una varietà che in Sicilia ha una storia di amore e odio.
Se negli anni ’80 erano circa 8.000 gli ettari coltivati (soprattutto impiegati per il Marsala Rubino),
oggi gli ettari sono soltanto 400. Si aspira ad una produzione sempre più qualitativa, cercando di
rispettare i tempi dilatati di un vitigno ostico ma ricco di potenzialità.
Assuli ha compreso queste potenzialità facendosi portavoce di tre diverse espressioni del
Perricone. Nei vigneti Carcitella – “piccola caccia” in siciliano- il vitigno trova la sua dimora ideale:
suoli principalmente argillosi e un microclima caldo, accarezzato dal vento conferiscono ai
vini intensità aromatica e pienezza del sorso.
Furioso, Arcodace e Fiordispina: sono queste le tre diverse etichette del Perricone Assuli.
Oggi io voglio concentrarmi sul Fiordispina, un rosato brillante con spiccate note di frutta
croccante e una forte spinta floreale. Un vino fresco e sapido, gastronomico e versatile. Leggiadro
come la principessa da cui prende il nome, presente nel XXV canto dell’Orlando Furioso, il
poema epico-cavalleresco che è stato ispirazione per le etichette
Fiordispina vive una storia d’amore intensa, ma anche disperata: si innamora perdutamente di
Bradamante. Lo crede un uomo, ma è una donna travestita da cavaliere. Un amore impossibile.
E’ uno dei rarissimi esempi nella letteratura rinascimentale di una passione omosessuale
femminile, anche se nelle vesti di un sofferto equivoco.
Ariosto la racconta con delicatezza e rispetto, così come Assuli tratta la vigna da cui nasce
questo rosato.
Come Ariosto intreccia storie e personaggi in un’opera corale, la realtà di questa cantina
costruisce le proprie etichette intrecciando vitigni reliquia, racconti antichi e scelte
contemporanee.
Passeggiando per il Baglio, nel culmine di una giornata scandita dall’incantesimo di un violino, ho
percepito con chiarezza quanto Assuli stia dando forma ad un vero e proprio immaginario: quello
di un’epica siciliana. Una narrazione suggestiva, che celebra la Sicilia come terra di passioni
estreme e radicate, follia e natura incantata ed incantevole.
Domenica, tra un calice di Perricone e lo scoccare delle frecce della Compagnia degli Arcieri Elimi
di Trapani, mi sono sentita parte di un Orlando Furioso contemporaneo.
E mentre quel sole tramontava, quel patto mi sembrava già rinnovato.